Ciò che conta, nello studio del marketing esperienziale, sono “i processi invece che gli scopi, le relazioni invece che le gerarchie, le percezioni invece che i dati, i sentimenti invece che il freddo raziocinio, le capacità innovative invece che le regolamentazioni ordinate e sistematiche.” Si tratta di elementi che fanno avvicinare chi si occupa di marketing allo studio di discipline quali la sociologia del consumo, la psicologia, l’antropologia, la filosofia e la semiotica. E che suggeriscono di utilizzare una modalità di approccio più femminile che non maschile.
Perché l’attenzione del marketing si sta sempre più focalizzando sull’importanza del saper offrire esperienze di consumo globali che siano significative e qualificanti? Perché l’oggetto di studio non è più la soddisfazione dell’homo oeconomicus, che effettuava le sue scelte in base a criteri razionali e al calcolo dei costi-benefici, e si assiste invece al tentativo di accattivarsi l’homo ludens, orientato al gioco e alla ricerca continua di divertimento, emozioni e gratificazioni?
Si tratta della diretta conseguenza dell’individualismo che sta imperversando ormai da decenni nella nostra società e che ha come sua traduzione più immediata l’orientamento al carpe diem, al “tutto e subito” e la ricerca del piacere che si declina nel perseguire stati di benessere e di felicità.
In breve, le esperienze forniscono valori sensoriali, emotivi, cognitivi, comportamentali e relazionali che sostituiscono quelli funzionali”.